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Il menestrello delle emozioni

pubblicato su "Cooperazione" del 16 Marzo 2021

Giuseppe Tami, 73 anni, di Cugnasco-Gerra è un viaggiatore senza tempo. Gira il mondo con i suoi acquarelli e con le sue matite. Ogni volta realizza un diario coloratissimo. Un uomo, una filosofia.​

TESTO - PATRICK MANCINI / FOTO - MELANIE TÜRKYILMAZ

L’ultima esperienza l’ha vissuta in Borgogna, lo scorso agosto, a Semur-en-Auxois. «Poi è tornato il Covid-19 che mi ha “bloccato” momentaneamente a casa».

Per Giuseppe Tami, 73enne di Cugnasco-Gerra quello che stiamo attraversando è sicuramente un periodo insolito. Lui, che è abituato a fare almeno un viaggio al mese, ogni volta raccontato attraverso un diario illustrato, potrebbe sentirsi in gabbia. Invece no. «Io ho sempre un piano B. Anche un Natale in solitudine può trasformarsi in un bel viaggio. Ho narrato anche quello. Con i miei acquarelli e con le mie matite».


Un ritmo più lento

La casa del 73enne è piena di piccoli grandi capolavori. Veri e propri libri, rilegati, cartonati. Ce ne sono a decine. Come decine sono stati i viaggi di questo menestrello dei colori, che con la sua barba bianca e con il suo estro sembra arrivato dal Medioevo.

«Pubblico questi diari e poi li regalo agli amici. Non ho ambizioni di successo, anche se le poche volte che ho partecipato a concorsi di pittura ho sempre vinto. Quando vado in un posto, mi siedo, osservo, cerco di cogliere quei dettagli che solitamente sfuggono. E allora butto giù le mie sensazioni. A volte racconto anche piccoli gesti, come un pranzo al ristorante di una stazione. Il mio è un modo di viaggiare molto slow, basato sul vivere appieno il presente».

Proprio perché attualmente è difficile viaggiare, le pubblicazioni di Giuseppe assumono un valore ancora più prezioso. Le sfogli e ti sembra di essere catapultato in Marocco, in Spagna, in Corsica, a Berlino, a Firenze o sul cammino di Santiago de Compostela. Pagine che trasudano emozioni. «Non per forza deve essere qualcosa di eclatante a emozionare. Può essere anche un semplice uccello che si posa su un muretto di una città sconosciuta».


Le piccole cose

La metamorfosi di Giuseppe è arrivata durante una crociera verso la Croazia. «Su quell’imbarcazione c’era gente che dipingeva. Lì ho conosciuto il “carnet de voyage”, il quaderno di viaggio. Ero appena andato in pensione e mi si è aperta una nuova prospettiva. E pensare che fino a quel punto avevo viaggiato, anche oltre Oceano, sempre in maniera molto classica. Senza soffermarmi sul valore delle piccole cose in cui mi imbattevo. Tanti viaggiano e fanno centinaia di foto col cellulare. A me il telefonino serve per fare ricerche, per studiare i luoghi che visito. A Berlino ad esempio, non sapendo il tedesco, mi sono arrangiato con lo smartphone in maniera egregia. Per il resto, preferisco catturare gli attimi attraverso il foglio di carta. Mi consente di vivere il momento con un altro ritmo, più lento, assaporando i suoni, gli odori».


Una ricerca costante

In sottofondo, nel salotto di casa, c’è musica etnica. Giuseppe, che ha tre figlie ed è pure nonno, ci mostra il suo angolo creativo, in cui dà gli ultimi ritocchi a ciò che realizza. Anche dal profilo grafico e dell’impaginazione. «Non so da dove arrivi la mia vena creativa. A volte dipingo anche sui sassi, o sugli accendini. Su qualsiasi oggetto. La sana solitudine mi stimola. Io amo molto la solitudine, e tanti viaggi li faccio da solo. Ho bisogno, però, anche delle relazioni col prossimo, della compagnia».

Alla scoperta delle radici

Nella sua “vita precedente”, Giuseppe di mestiere ha fatto a lungo l’operatore sociale. «Mi sono occupato di persone con disagi di natura psicologica. È stata una professione gratificante, ho avuto occasione di avere a che fare con situazioni di grande umanità. Ero il punto di riferimento per molte persone in difficoltà».

Scopriamo che Giuseppe ha un enorme interesse per le proprie radici. Con altri membri della famiglia ha già realizzato un libro sulla nonna paterna, nativa del Malcantone. Ora sta raccogliendo informazioni per fare altrettanto con i nonni materni («Dei Croce di Osco»), scesi dalla Leventina a Lugano un secolo fa. «Io sono cresciuto proprio a Lugano, dai nonni materni. Sono un uomo curioso, costantemente alla ricerca di risposte. L’idea è soprattutto quella di raccontare un contesto storico». Raccontare, sì. È forse questa la missione del menestrello dalla barba bianca. «Raccontare di cose vicine e di cose lontane. In questi mesi siamo stati fermi. Non si è viaggiato. Eppure, mai come in questo momento, mi sono reso conto di quanto il viaggio sia anche qualcosa di mentale. Ti puoi emozionare tra i nostri campi, lungo i nostri sentieri, attraverso i nostri vigneti. Ovunque».


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